Spesso chi migra da altri paesi e cerca di avvicinarsi alla lingua ufficiale o maggioritaria del Paese in cui si trova a vivere, rischia di scontrarsi con un lessico istituzionale-transazionale (cioè tipico delle transazioni) – burocratico; dunque in questo laboratorio pratichiamo e cerchiamo di invogliare a frequentare una lingua ricca di parole nuove, vivendo un’esperienza in cui la lingua italiana sia l’unica lingua utilizzata, tranne in alcuni momenti in cui per semplificare la comprensione di alcuni concetti usiamo parole inglesi che facilitano la comprensione da parte di utenti provenienti dalla Nigeria o dall’India.
L’incontro di oggi aveva come obiettivo la presentazione dei partecipanti, per esplorare le origini, i gusti, le preferenze di chi partecipa al laboratorio, sia nel caso degli utenti che dei volontari.
Abbiamo iniziato seduti in cerchio, dicendo a voce alta il nostro nome e facendo un gesto che lo rappresenti. Questo primo segno muto non ha bisogno di parole: c’è chi fa un’onda con le braccia, chi batte le mani, chi – come K.- i piedi.
- da seduto apre e chiude il pugno della mano destra.
A ognuno diamo un foglio su cui scrivere il proprio nome, paese e città di origine, cibo preferito, un aspetto preferito del paese da cui provengono e anche dell’Italia. Dopodiché apriamo una grande mappa del mondo su cui ognuno è invitato a posizionare il proprio nome stampato da Paola con i timbri su di un biglietto azzurro.
A cosa serve tutto ciò? Per molti dei partecipanti pensiamo che non ci siano molte altre occasioni di confronto con altre persone che parlano l’italiano, a parte il mondo del lavoro. Dunque, è uno stimolo per ritrovarsi e confrontarsi in piccoli gruppi e poi in un gruppo più ampio, per parlare in italiano a proposito di sé. Ma anche per ascoltare gli altri e dunque scoprire il suono di parole nuove.
Dopo aver scritto le parole della Filastrocca Impertinente di Gianni Rodari su dei fogli le abbiamo separate e assegnate a ogni persona. Constatiamo che già alcuni verbi, come “arriverà” o parole come “nessun luogo” sono concetti complessi, forse in futuro dovremo lavorare su testi diversi, con numeri o giorni della settimana. Però è importante anche scontrarsi con una certa difficoltà, provare a percepire la musicalità dell’italiano, sentire che una filastrocca è composta di parole, ma anche di ritmo e di suono.
Ci siamo ispirati alle performance Dada dei primi del Novecento per inventarci questo gioco: ognuno ha una o due lettere dell’alfabeto appese al collo con una cordicella; Laura nomina parole di due, tre, quattro lettere e noi dobbiamo correre in un punto del cerchio che abbiamo lasciato senza sedie. Ecco che la parola si forma sotto i nostri occhi: ape, pera, mela, pane, e così via. Notiamo che ci sono lettere che ritornano più spesso e infatti S. deve correre più di tutti, avendo la lettera E.
La parte finale è dedicata alla realizzazione del collage: ci disponiamo intorno a due tavoli pieni di fogli, riviste, colla, forbici. Ognuno è libero di restituire le cose imparate nel corso del pomeriggio, scegliendo delle immagini e delle parole o anche di rappresentare ciò che sente, di dare una forma alla propria immaginazione sollecitata dalle attività proposte: c’è chi fa un elenco di frutti e oggetti, chi ritaglia immagini di una casa e di cibi del proprio o di altri paesi visitati in questo viaggio pomeridiano attorno al mondo fra le quattro mura del centro civico di Tencarola.