Obiettivo è la scrittura narrativa, con il suo programma classico: descrizioni, personaggi, dialoghi; avvio, sviluppo, conclusione.
Il metaobiettivo, possiamo dire, è proprio il corso stesso in quanto realizzazione di compresenza e di comunicazione, di piccola comunità in ricomposizione; la natura dei corsi inoltre favorisce l’espressione libera, la comunicazione condivisa, la soddisfazione scevra da competizione.
Lessico: classico da classis, latino, la flotta, composta e organizzata in porto e in mare aperto, che dà il senso di ordine, di compattezza, di tenuta e di efficacia. Si passa alla metafora: una compagine di persone, la classe scolastica appunto (la useremo ancora dopo questa scoperta? cosa direbbe la Montessori?).
Chi sono dunque i classici?
Al corso di scrittura si scopre, si tolgono cioè i veli, si impara in proprio, si copia e si sbaglia. Si procede sempre per esempio e per imitazioni: così si impara a camminare, a disegnare, a fare un abito. Leggiamo, ascoltiamo, apprendiamo (prendiamo!).
Il dialogo per esempio, una forma di uso delle parole dei personaggi. Ecco un esempio in diretta dalla vita quotidiana. Però qui si parla di scrittura. Proviamo a trascrivere un dialogo ascoltato alla posta, sul terrazzo, in tram. È un esercizio di ricostruzione: si può stare fedeli, si può ricreare in base ad un nostro obiettivo.
Ed ecco un racconto breve, che metteremo nel genere frammento, come preso da una possibile narrazione più ampia. Il narratore onnisciente ci presenta dei personaggi e si mette dalla loro parte, vedi per esempio la finale. Giunto qui il lettore dice: c’è dell’altro. La scrittura d’arte ha obiettivi diversi dall’informare il lettore a proposito dell’infanzia del protagonista. Si parla infatti di racconto metafora e di romanzo parabola. Il personaggio e il racconto iniziano subito “in medias res”, nel bel mezzo del cammino di un racconto più ampio (autobiografico ma ben celato).
Rossella Prando, Buchetti nella terra La piccola ha trovato un giorno nella dispensa un sacchettino di carta con dentro dei piccoli chiari fagioli tondi con anche una macchiolina nera, un po’ di bianco al centro che la fa parere un occhiolino, sono simpatici. Ha deciso di provare a piantarli nel piccolo orto che un uomo cura per loro. La mamma invece ama i fiori e ha, a poco a poco, tirato su nella striscia di terra libera dal cemento antistante la casa, un bel giardinetto che comprende arbusti come fiori di San Giuseppe, fiori di pesco e zagare, intervallati da timidi cespugli di gialli narcisi e fieri iris viola che sguainano le foglie come spade a difendere il fiore prezioso; dice sempre che le ricordano i festeggiamenti della Liberazione perché la stagione era quella e così i carri trionfali ne erano gioiosamente pieni – ricordi di bimba. Carla ha fatto quindi dei buchetti nella terra, pensa che si faccia proprio così, sembra semplice, basta metterci un po’ di terra sopra e l’acqua. Per qualche tempo non ci ha più pensato, se li è proprio dimenticati: quando ha visto le piantine ha immaginato un piccolo miracolo, allora è facile! Sarà la vita che prepotente si fa strada, come il piccolo germoglio esce dalla scorza raggrinzita e scosta i grumi di terra facendo capolino e trova il sole e l’aria, si fa forte, crescendo matura i frutti che poi seccano e ricadono ancora nel terreno, a rinascere ancora e ancora. Ma no, non è vero, non è facile, per questo ogni pianta produce un eccesso di semi – questo l’ha capito, poi.
Da grande, molto tempo dopo, coltiva ancora l’orto, è scomodo perché non è vicinissimo a casa, ora le cose sembrano più complicate: le zucchine un anno crescono da sole e quello dopo non c’è verso, i pomodori sembrano perfetti e a un certo punto anneriscono sulla punta e diventano cattivi, i carciofi solo dopo tre anni si son degnati di mostrare un po’ di riconoscenza (una gara dura con Chicco che li voleva estirpare subito), le cornette, sorelline piccole dei fagioli di cui sopra, sono martoriate da squadroni di pulci nerissime, le cimici talvolta imperversano e talaltra si dileguano. Selvatica com’è, ha sempre voluto credere che il mondo vegetale, in fondo, non abbia bisogno di tanti incoraggiamenti o costrizioni, che il lieto fine sia nell’ordine naturale delle cose, come quella volta le è capitato da piccola. Un po’ si è dovuta convincere di avere torto, un po’ ci spera ancora.