Sono emozionato. Ogni inizio mi emoziona: ogni nuovo spettacolo, ogni nuovo progetto, ogni nuovo laboratorio. A breve inizierò questo percorso insieme a una dozzina di ragazzi che ancora non conosco personalmente, ma di cui posso dire di sapere – o meglio, di ricordare – già qualcosa. Perchè sono stato anch’io adolescente. Loro nella loro pelle e io nei miei ricordi avremo sensazioni da condividere, stati d’animo, disagi, curiosità, dubbi, timori, avversioni, passioni e delusioni.
Condivideremo un pezzettino di quest’anno scolastico. Utilizzeremo gli strumenti che la pedagogia teatrale ci mette a disposizione per conoscerci meglio: per conoscerci e per riconoscerci, come persone e come gruppo. Siamo come fiori, come piante di un giardino; sappiamo essere piante che abbelliscono, oppure infestanti che disturbano -zizzania, gramigna. Consociamo e dissociamo, proprio come fanno le piante. A volte siamo ‘sinonimi’, altre volte siamo ‘contrari’.
“Oddio che palle! La morale!” …eccolo il rischio nascosto dietro l’angolo di ogni buona intenzione: che si finisca per fare cose tristi e noiose. Pallosi, appunto. Quindi dobbiamo provare a fare scoperte interessanti, però divertendoci. Ed è questo il punto di forza del “fare teatro”: ci si può divertire sempre, anche volendo far piangere. Divertendosi, naturalmente, nel senso più ampio concesso al termine.
So già che non voglio farmi guidare dal risultato. Quello che mi interessa di più è il percorso, è quello che succederà nel tempo che avremo da trascorrere insieme, quello che maturerà in loro tra un incontro e l’altro e quello che potrà restare a loro, mi auguro, per il futuro .
“Hai mai fatto ‘teatro’ prima? No? Mai? Non ci credo, vorresti farmi credere che non hai mai recitato in vita tua? Non hai mai raccontato a nessuno chi sei, dove vivi; hai mai raccontato le gesta del tuo mitico cane, esaltandolo e rivestendolo di un eroismo fantastico? O, più semplicemente, non ti sei mai dovuto arrampicare allo specchio per rendere credibile una balla? Sì, vero!? Ecco, allora quanto a recitazione non sei del tutto a digiuno.”
Partiremo da questo: tutti sappiamo raccontare. Bene o male che lo si faccia non è importante; l’importante è sapere che il meccanismo della finzione in qualche modo ci appartiene già.
Chiara, Pietro, Etienne, Giulia, Francis, Omar… Butto lì dei nomi, a caso, perché sento il bisogno di immaginarli uno per uno. Ho bisogno di vedermeli davanti quando metto in fila le mie proposte. Ho bisogno di sentirli parlare, di vederli muoversi, di scrutarne gli occhi e le mani, di immaginare un naso e una bocca dietro a ogni mascherina. E allora, prima ancora di conoscerli, provo a giocare a fare teatro con loro nel palcoscenico della mia fantasia. Li immagino interagire con le mie suggestioni, fare giochi ed esercizi, rispondere agli stimoli. E a volte non va come vorrei, i miei stimoli non danno frutto, i ragazzi non reagiscono, forse non sono stato chiaro nelle mie proposte… Allora provo a modificare il percorso, svolto, cambio all’improvviso direzione per provare a sorprenderli, a catturarli, a farli stare nel gioco. Ecco, adesso qualcosa si muove, ora comincia a funzionare.
Sorridono, sorrido. Siamo un gruppo e siamo un giardino.