Ci sono aspetti in ognuno di noi che tendono a ripetersi e che ci rendono riconoscibili e unici, nonostante la mascherina che ci nasconde mezza faccia (ma dietro a quei filtri stimo che si celino volti meravigliosi e non vedo l’ora che il tempo ci permetta di uscire un po’ all’aperto per farci tutti un fantastico “cu-cu …catàààà!” coi tempi giusti della sorpresa).
E così come davanti alla prima puntata di una serie tv si riprende a fantasticare sui suoi personaggi – appena accennati nella puntata pilota- oggi sto fantasticando sui partecipanti di questo laboratorio, che cominciano a raccontarsi per come sono, a farmi intuire cosa amano e cosa no, quanto sono timidi e a quali condizioni diventeranno invece spavaldi e intraprendenti. Strada facendo ci conosceremo, interagiremo, ci fraintenderemo e ci spiegheremo e troveremo quel reciproco punto di incontro che renderà possibile questo attraversamento di emozioni, curiosità, fallimenti e divertimenti propri del fare-teatro.
Sono in quattordici anche oggi, due non sono tornati, uno è assente e tre si sono aggiunti. Siamo partiti: dentro a quel cerchio delimitato da sedie vuote oggi si sono mosse energie e idee. Abbiamo chiesto al nostro corpo di espandersi per appropriarsi e far vivere lo spazio vuoto, dove semplici bastoncini si sono rivelati molto utili per sfruttare a nostro vantaggio le distanze obbligatorie; e abbiamo chiesto alla nostra voce di riempire quello stesso spazio di suoni e respiri.
Sono usciti i primi racconti, coraggiosi e anche temerari: imbastire uno stand-up improvvisato si è rivelato proficuo, l’adesione è stata spontanea, lo rifaremo. Partire dal racconto spontaneo è un buon modo per capire a che punto siamo, in che acque navighiamo, dove stiamo andando e dove vorremmo arrivare. Per capire meglio noi stessi.