Osserviamo, pensiamo e diciamo. Ci sono parole. Ci sono nomi, aggettivi, verbi. Espressioni, descrizioni, dialoghi. E il messaggio? Questo è scrittura. Ma come? Non con la voce del narratore, ma con i personaggi, le figure. E poi c’è un luogo con entro un altro luogo, con dentro una cosa umana, una villa. E attorno c’è un giardino. Incantato, che incanta, con al centro un altro tesoro.
Coccolare le rose, di Giorgio Zanellato
Anche a voler prendere delle precauzioni, Giacomo capì di non avere strumenti adatti per installare momentanee protezioni al suo giardino. Bisognava solo sperare nella fortuna o nell’aiuto celeste. Il temporale si avvicinò senza dare preavviso di quanta crudeltà fosse capace di attuare. Il vento che lo precedette fischiò fra i rami di qualche albero in modo inquietante. Subito dopo, seguì una grandinata che coprì tutto il giardino al pari di una copiosa nevicata. Giacomo si mise gli stivali e, alla fine della tempesta, andò a raddrizzare le poche rose che per fortuna non erano state colpite. Sapeva di dover infondere loro la fiducia, potevano sopravvivere, e così le sostenne con gli appositi stecchi. Poi le accarezzò delicatamente e a tutte riservò la sua ferma protezione: “Andrà tutto bene” disse ad ognuna di loro: Le coccolò con delicatezza, infondendo nella loro linfa la protezione di un padre.
Ritorno, di Ubaldina Rosati
Il cortile aveva ancora, sul lato destro, un albero, forse lo stesso, ma complessivamente non presentava più il senso di abbandono del tempo passato. Qualcuno aveva provveduto a ricavare una aiuola nella quale erano state poste varie piantine: garofanini, begonie, viole ma anche, poco distanti, basilico, prezzemolo, menta, maggiorana. Una mano amorevole se ne prendeva cura ora, si vedeva, e questo aveva dato a Elsa una piacevole sensazione, ricordando quanto aveva desiderato di rendere quel cortile più curato e ospitale, ma, piccola, non esperta, aveva dovuto rinunciare, riuscendo solo a fantasticare su come lo avrebbe sistemato e alle tante storie che da lì sarebbero nate. Le tornò in mente la delusione provata quando non era riuscita più ad entrare in quell’incavo, segno della sua crescita e della perdita di uno spazio prezioso, tutto suo. Il cambiamento del suo corpo richiedeva di esplorare altri spazi, trovare nuovi luoghi. Quello che permaneva era la vista sul mare in lontananza, il cielo sembrava immergersi nell’acqua come in un abbraccio. Affacciata alla finestra respirava di nuovo libertà e infinito.
La calma del lago, di Paola Baciga
Ero arrivato in cima alla collina quasi di corsa senza guardare dove andavo, a tratti mi ero impigliato nei cespugli spinosi fino a quando ero giunto ad una radura erbosa. Avevo il respiro affannato e così mi ero fermato a guardare il lago di sotto, si poteva vedere quasi tutto. I tetti delle case affacciate sulla riva erano lontani, mi stupii di quanta salita avessi fatto senza rendermene conto. Durante il tragitto avevo ripensato a tutto quello che era successo: ero scappato via di corsa dal paese. Lassù non mi avrebbe sentito nessuno, anche se avessi gridato, il mio urlo sarebbe
andato verso le nuvole. Stavo quasi per farlo per buttare fuori tutto quello che avevo dentro e liberarmene. Ma non lo feci, c’era troppo silenzio, troppa calma, il lago era troppo azzurro, tutto era troppo quieto. I pensieri affollati che avevo in testa cominciavano a distendersi. Guardai dietro di me lungo il sentiero che avevo fatto di corsa, per vedere se c’era qualcuno, magari mi avevano seguito, lo speravo, ma non vidi nessuno. Oramai, fra un po’, sarebbe stato buio. Girando ora lo sguardo verso il lago non riuscivo già più a distinguere l’altra sponda, il cielo era diventato grigio scuro. Lentamente mi diressi verso la strada che tornava giù, quell’aria fredda e pura mi entrava nei polmoni e potevo sentirla.
Un giorno Giovannino e Serenella (continuando I.Calvino), di Carla Gilari
Un giorno Giovannino e Serenella si diedero appuntamento sulla spiaggia. Da dieci anni non ci andavano. Ne erano passati di treni in quella galleria… su quella spiaggia dove si trovavano da bambini, ognuno con la propria famiglia. Si erano conosciuti quando Giovannino era un bambinetto di soli sei anni, che avrebbe iniziato la scuola elementare nel mese di ottobre, e Serenella, di un anno più giovane, si trovava ad aiutare la mamma in campagna e a giocare nei campi. Ora, ritrovatisi per caso in paese, dal quale Giovannino si era allontanato per il Nord, fu un attimo riprendere la vecchia familiarità. Si ripresero, nel piacere di stare insieme, sembrava che il tempo non fosse passato, nonostante il forte cambiamento fisico. Volevano riprendere quei loro giochi, in spiaggia nella caccia ai granchi, le loro esplorazioni dei dintorni, magari la galleria dove passavano quei mostri che portavano la gente da un lato all’altro dell’Italia e su cui era arrivato Giovannino da Torino. Pure Serenella immaginava di poter un giorno partire e intanto fantasticava sui mostri che entravano nella galleria sparendo ai suoi occhi e poi spuntavano in senso inverso. C’era di bello che Serenella non piangeva mai.
-Toh…. colpita!!
-Ahi.
-Ah… ah.
-Che bello!!!
Giovannino e Serenella erano molto presi dal loro gioco: la battaglia con le alghe era proprio divertente. Anche se ogni tanto si sentiva -Ahi!!-, sembrava che nulla li avrebbe fermati, pareva che dovessero scaricare tutte le energie della loro giovane età. Le nuvole si erano aperte e lasciavano libero il sole, ormai all’orizzonte; intanto si era alzato un venticello che rendeva ora piacevole l’aria molto calda della giornata.
Loro liberi, in quello spazio libero in riva al mare, se la stavano proprio godendo a raccogliere manciate di alghe e colpirsi a vicenda. Il tocco proveniente dal campanile del paese li fermò.
-Si è fatto tardi, Giovannino, bisogna che corra a casa, altrimenti i miei mi mettono in punizione; io domani voglio ancora venire a giocare con te.
-Come sei buffa, Serenella, – ridacchiava Giovannino – le alghe tra i capelli sembrano vermicelli verdi che scendono dalla testa!
-Perché tu sei meglio di me? Se potessi vederti, Giovannino!… Io vado.- Serenella si chinò, prese una manciata di alghe e la lanciò in aria.
-Ciao, mare- e si avviò.
-Serenella, aspettami!
Il non-giardino, di Otello Piovan
Il mio balcone sporge su uno spazio che non è un parco, né un giardino o una qualsiasi altra zona verde. Non ha nodose panchine, né rumorosi biancastri vialetti. È uno spazio incalpestato in cui crescono libere le erbacce; d’inverno irrigidite di bianca brina, e, d’estate, alte, ondeggiano sinuose premute da un occasionale vento. Attorno, al pari di un alto steccato, caseggiati spinti all’insù confinano questo spazio, lasciando in lontananza una larga fenditura, in cui, come nei fotogrammi di un film, appaiono frettolose auto. A me è caro questo effimero spazio incolto; l’innalzarsi di un edificio, oscurerebbe il mio inconsistente infinito.
Primavera per la maestra, di Maurizia Galuppo
C’è il sole questa mattina. La bambina guarda dalla finestra l’aiuola al centro del piccolo giardino e sorride. La bordatura luccicante di rugiada è già rigogliosa e nasconde un ciuffo di mughetti, da qualche giorno la bambina li sorveglia. Oggi ne farà un mazzetto da portare finalmente alla maestra. È stato il profumo a richiamarla. La gioia di ammirare le piccole candide campanelline, discrete eppure fiere di sé, protette dalle loro larghe foglie verdi, le aveva colmato il cuore di gratitudine. La stessa che sentiva per la sua maestra gentile affettuosa e sapiente. Sistemato il colletto bianco ed il fiocco rosa, la bambina infila svelta il cappotto.
-Mamma, io sono pronta, esco a raccogliere i fiori per la maestra!
-Aspetta tua sorella.
-Sì, sì, l’aspetto fuori!
Comporre un mazzolino è facile, ha già fatto le prove. Uno stelo lungo lungo dell’erba farà da nastro.
Il mio giardino, di Giorgio Rossi
G si svegliò come altre mattine verso le 6, si preparò il primo caffè della giornata, lo bevve sorseggiandolo lentamente, mentre guardava il giardino attraverso la finestra della cucina. Quel momento era come un respiro profondo e calmo. Uscì in terrazza, l’aria era piacevolmente fresca, c’era un silenzio interrotto per qualche istante dal canto pungente di qualche merlo, guardò l’erba illuminata dal sole che risaltava il verde brillante punteggiato da molte pratoline bianche. Era stata la presenza del giardino ben curato e con tante piante che lo aveva deciso ad acquistare l’appartamento. Un chiacchiericcio proveniva dal cortile. Era la Tina, che viveva al terzo piano e una sua amica, la Giulia, che abitava in un condominio vicino. G si affacciò per salutarle augurando una buona giornata e ricevendo un “grazie”. Le due amiche proseguirono a fianco della siepe di bosso che delimita la proprietà, fermandosi davanti al grande cespuglio di lavanda piantato da Tina alcuni anni prima. Mentre Tina parlava con enfasi della sua pianta, Giulia strofinava delicatamente con le mani alcune spighe per sentire il profumo. Tina allora prese dalla tasca una forbicina, tagliò alcuni steli, li legò con un piccolo laccio di spago e li diede a Giulia. G rientrò in cucina guardando l’orologio che segnava le 7,30, indossò la giacca e uscì. Tra poco sarebbe passato
il 12.
Questo giardino (da “La mia famiglia e altri animali”), di Gerard Durrell
Questo giardino da bambola era una terra magica, una foresta di fiori nella quale si aggiravano creature che non avevo mai viste prima. Tra i petali carnosi e serici di ogni rosa vivevano minuscoli ragni che sembravano granchi e scappavano di sghembo quando li si disturbava. I loro piccoli corpi traslucidi avevano lo stesso colore dei fiori in cui abitavano: rosa, avorio, rosso vino o giallo burro. Sugli steli delle rose, incrostati di afidi, le coccinelle zampettavano come giocattoli dipinti di fresco; coccinelle d’un rosso pallido con grandi macchie nere; coccinelle rosso mela con macchie marroni; coccinelle arancione picchiettate di grigio e di nero. Rotondette e amabili, si aggiravano tra le anemiche turbe di afidi, facendone scorpacciate. Le api legnaiole, simili a orsi pelosi color azzurro elettrico, zigzagavano tra i fiori con un ronzio cupo e affaccendato…