Quel che segue è la trascrizione di una esperienza di percezione e movimento apparsa nella sua versione originale nell’iconica rivista Contact Quarterly (Volume 11, No. 1, Inverno 1986).
La Small Dance di Steve Paxton è una pratica di ricerca perfomativa nata dallo studio della relazione tra la struttura muscolo scheletrica del corpo umano e la forza di gravità.
La traccia che si offre qui è una traduzione e rielaborazione del testo originale inglese pensata per avvicinare alla pratica i giovani allievi dei laboratori di pratiche somatiche ed improvvisazione, all’interno della più vasta ricerca in tema di corpo, paesaggio ed intelligenza vegetale.
Rilassiamoci profondamente nello spazio cavo che accoglie i bulbi oculari, nell’orbita. Immaginiamo una linea interna che corre da orecchio a orecchio. È orientativamente su quella linea che il cranio si poggia e riposa. Fate un piccolo, piccolissimo movimento di sì con la testa. Questo dondolio avanti e indietro del cranio avviene grazie alle prime due vertebre cervicali, l’atlante e l’epistrofeo. Cerchiamo di intuire con la nostra vista interna la presenza di queste ossa. L’atlante come una ciambella cava e l’epistrofeo con il suo dente che occupa la cavità della ciambella. Facciamo ora di no con la testa e proviamo con questa nuova informazione dinamica a determinare la forma e la grandezza di queste vertebre.
Ora portiamo la nostra attenzione più in basso, ai polmoni, al contenuto della nostra cassa toracica. Proviamo a respirare dal limite inferiore dei polmoni su fino alle clavicole. Copriamo con il nostro respiro l’intera estensione dei polmoni. Riusciamo ad espandere facilmente le costole? A portarle in fuori e verso l’alto e verso dietro? Prendiamo qualche respiro e seguiamo il movimento delle nostre costole nelle varie direzioni.
Ora cerchiamo di definire la forma e natura del diaframma attraverso le nostre sensazioni. La zona è quella della base dei polmoni, una cupola di tessuto muscolare che ad ogni respiro massaggia gli organi della nostra cavità addominale. Quel che fa il diaframma è un segnale per il resto del corpo: cielo su e terra giù.
La testa in questa pratica va considerata come un arto, ha una sua massa. Anche solo la percezione della sua massa può essere la sensazione dominante all’interno della ricerca. La sensazione di massa e gravità. Continuiamo a sentire la nostra testa ed il resto del nostro corpo in termini di massa attraversata dalla gravità.
Abbiamo nuotato nella gravità sin dal giorno in cui siamo nati, addirittura sin dal giorno delle prime divisioni cellulari che sono seguite all nostro concepimento. Ogni cellula sa dove è giù e dove è su. Spesso lo dimentichiamo. La massa del nostro corpo e la massa della terra si chiamano vicendevolmente senza sosta.
Lasciamo scendere le nostre scapole lungo la schiena, rilassiamo organi addominali e intestino in quella ciotola che è la nostra pelvi.
Ora, nella direzione in cui pendono le nostre braccia lungo il corpo, esercitiamo il più piccolo stiramento possibile, senza cambiare direzione ed orientamento. Riusciamo a farlo più piccolo? Riusciamo a fare meno? Lo stiramento segue la lunghezza delle ossa e la direzione in cui la forza gravitazionale si sta già muovendo.
Questa è piccola danza nella quale ci stiamo rilassando e che al contempo di sostiene.
Spostiamo ora il peso da una gamba all’altra: la gamba che accoglie il peso comprime la propria struttura. Proviamo a fare un piccolo stiramento delle gambe lungo le linee di compressione. Piccoli, minimi stiramenti.
La nostra postura è allungata, la spina dorsale eretta, torniamo a percepire la base dei nostri polmoni, il diaframma, il diaframma che espandendosi massaggia gli organi interni, giù fino al bacino. Inspiriamo profondamente ed espiriamo lentamente, percepiamo consapevolmente la piccola pausa tra inspirazione ed espirazione. E la pausa alla fine dell’espirazione. Osserviamo e cerchiamo dove si collochi nel tempo e nel corpo l’inizio dell’inspirazione.
Osserviamo il tempo passare attraverso il moto del respiro. Non diamo avvio al respiro, lasciamolo semplicemente avvenire. Osserviamo queste frasi movimento cercando si cogliere il momento esatto in cui parte una nuova inspirazione.
Siamo in piedi. Rilassati nella spinta antigravitazionale della nostra struttura verso l’alto. Il peso scaricato sulla pianta dei piedi. Rilassiamo il volto, rilassiamo le palpebre, rilassiamoci in quello spazio dietro i bulbi oculari che abbiamo esplorato all’inizio, rilassiamoci nelle cavità orbitali. Non sforziamoci di rendere corretta o precisa l’esplorazione. Lasciamo le idee fluire. Quel che ci importa ora non è tanto concentrarci, quanto sentire questo gioco di fretta e pause, di piccoli aggiustamenti che fanno questa piccola dance capace di tenerci dritti nello spazio anche mentre ci rilassiamo. Semplicemente attraverso masse e bilanciamento. Il sessanta per cento del peso scaricato sulla pianta del piede, e quel che resta sulle dita dei piedi e sul calcagno. Le ginocchia sono rilassate. Lasciamo che il respiro guidi i piccoli movimenti del nostro torace, rendendoci simmetrici. Lasciamo che le costole si espandano in tutte le direzioni al gonfiarsi dei nostri polmoni. Le braccia che cadono ai lati del corpo.
Sentiamo questa piccola minima danza. È sempre lì, sempre con noi. Pensiamo all’allineamento delle ossa, degli arti verso il centro della terra.
Spostiamo il nostro peso sulla nostra gamba sinistra. Cosa cambia? Cosa cambia nella nostra caviglia, nell’articolazione dell’anca. Richiamando alla mente quella sensazione di compressione, esercitiamo ora compressione sulla gamba destra, sentiamo il cambiamento, compressione attraverso la lunghezza delle ossa.
Riportiamo ora il corpo in una posizione eretta neutra. Sporgiamoci leggermente verso l’avanti. Compressione davanti, allungamento dietro. Sporgiamoci ora verso dietro. Allungamento davanti e compressione lungo le linee di forza della schiena. Nessuna compressione nelle braccia, non portano peso. Sporgiamoci di nuovo in avanti, sentiamo la differenza, rilassiamoci in questa differenza, torniamo in neutro e sporgiamoci indietro e di nuovo neutro. Lasciamo ora la colonna sollevarsi e stirarsi verso l’alto, oltre le spalle. Lasciamo la testa riposare in quella linea di sostegno che collega le nostre orecchie. E in questa estensione facciamo il movimento del si, dell’annuire, dondoliamo la testa sull’atlante. Creiamo una connessione in allungamento che parte dalle piante dei piedi e arriva all’atlante, alla prima vertebra cervicale.
Siamo immersi nella gravità dal giorno in cui abbiamo iniziato ad esistere.
Immagina, senza farlo, di essere sul punto di fare un passo in avanti con il tuo piede destro, e poi il tuo piede sinistro, destro, sinistro, destro, sinistro. E poi dritti, neutri, in piedi.
Lentamente lasciamo andare il corpo e cediamo in un accovacciamento. Rilasciamo la nostra struttura in una discesa volontaria. Respiriamo, mani sul pavimento, collo rilassato. Proviamo a rilassarci in questa posizione e quando siamo pronti torniamo in piedi e apriamo gli occhi.