Il modo in cui vediamo è sostanziale nel costruire la nostra individuale idea di mondo: il vedere è un’esperienza di apprendimento che si sviluppa e cambia caratteristiche lungo il percorso della nostra esistenza. La connessione tra le strutture dell’occhio, il cervello, il resto del nostro corpo e dei nostri sensi, i ricordi, le associazioni costituisce quella danza di luce alla base della nostra percezione visiva.
Ognuno percepisce il mondo attraverso il filtro delle proprie esperienze ed è attraverso pratiche di ricerca e sperimentazione di modelli alternativi di visione che possiamo cominciare ad aprire la porta alla comprensione di come la vista influenzi profondamente le nostre idee e le nostre azioni e possa diventare uno strumento a servizio di un sostanziale cambio di prospettiva. Dopo una prima fase che, come sempre, costituisce un arrivo in sala, un depositare il proprio corpo/mente nello spazio di ricerca, pratichiamo un esercizio di cambio del focus visivo concentrando lo sguardo su un oggetto qualunque. Il passaggio da una forma di sguardo attivo ad uno sguardo recettivo, così come da un tipo di sguardo che si concentra su di un minimo particolare dell’oggetto ad uno sguardo più morbido e diffuso, costituiscono solo alcune delle indicazioni che i ragazzi seguiranno in questa prima fase di ricerca alla scoperta dei modelli di visione e delle strutture anatomiche che li sostengono. Lavoreremo sulla vista periferica e sulle distanze, sulla vista che di fatto di manifesta a livello della corteccia visiva, sui movimenti dei muscoli intrinseci ed estrinseci dell’occhio.
La lezione di oggi parla di vista umana alla luce di una disamina delle caratteristiche della vista vegetale e dei sensi delle piante. Abbiamo con noi in sala Dori Zantedeschi, borsista del Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-Forestali dell’Università di Padova che segue i laboratori nel quadro del nostro progetto Siamo un Giardino!
I suoi interventi ad intervallare le pratiche somatiche e la ricerca, hanno offerto la possibilità di confrontarci con le diverse forme di intelligenza dei sistemi biologici e di tentare di sperimentarne nel movimento alcune caratteristiche.
A chiusura della lezione si è proposto un lavoro di tipo “fotografico” che potesse attivare espressivamente le sperimentazioni visive delle pratiche in sala. Siamo usciti nei giardini delle scuole e abbiamo “scattato” a coppie immagini di soggetti vegetali e non: segni biologici e segni dell’opera umana che sono poi stati impressi e sviluppati in sala in forma di scrittura.
Di seguito si raccoglie la sintesi scritta da Dori Zantedeschi del materiale proposto alla classe nei suoi interventi.
Le piante non hanno organi di senso specificatamente adibiti a percepire il mondo esterno come i nostri naso, occhi, bocca, orecchie, eppure possono percepirlo comunque attraverso recettori sparsi su tutto il corpo. Un po’ come per noi il tatto è percepito su tutta la pelle, così è anche per la vista, l’olfatto, l’udito, il gusto e il tatto delle piante. L’olfatto, per esempio, è un senso fondamentale, poiché le piante usano gli odori, in forma di molecole organiche volatili, per inviare e ricevere messaggi in modo analogo al modo in cui noi umani usiamo la voce. E riguardo il senso tattile: possono le piante toccare attivamente qualcosa? I ragazzi erano scettici, ma il video in time lapse di una pianta rampicante i cui viticci tastano e si aggrappano a un supporto non lascia ombra di dubbio sul fatto che le piante possano percepire e “toccare” qualcosa. Il video di una Mimosa Pudica e di una Venere Acchiappamosche mostrano poi come le piante possano non solo toccare, ma anche percepire di essere toccate. Sanno inoltre riconoscere milligrammi di sostanze nutritive in una vasta area di suolo, assaggiano e trovano quello di cui hanno bisogno. Questo si chiama gusto! Riguardo l’udito, se è vero che ci sono frequenze adatte a noi umani per farci addormentare, a farci concentrare, a motivarci negli allenamenti (tanto che la musica è considerata una forma di doping!), ci sono frequenze comprovate che permettono alle piante di produrre frutta più abbondante, più grossa, più gustosa. La vista è definita come abilità di percepire stimoli luminosi. In fondo anche noi, in assenza di luce non vediamo. Le piante usano la luce come fonte di nutrimento e di informazione. Se posizionate al lato di una fonte luminosa, cresceranno e si orienteranno in direzione di questa: abbiamo tutti in mente il movimento dei girasoli che seguono il sole. La luce come fonte di informazione è utile alle piante per capire quando è giorno e notte, quando è estate e inverno, cosicché possono fiorire, germinare, perdere le foglie nel periodo giusto. Nel 1905, Gottlieb Haberlandt, un botanico austriaco, ipotizzò che le piante potessero anche percepire le forme delle cose vicine a loro, grazie ad ocelli, strutture convesse capaci di far convergere la luce verso cellule incaricate ad elaborare l’informazione luminosa, in modo analogo alla nostra retina. Recentissimi studi basati sull’osservazione della Boquila trifoliolata, una pianta rampicante, hanno rispolverato questa ipotesi. Le foglie della Boquila hanno la capacità di mimare quelle della pianta su cui si appoggia per forma, colore e disposizione delle venature. Quella delle piante è una intelligenza diffusa: le informazioni vengono elaborate dalle singole cellule e poi comunicate alle altre. Perciò una pianta è più simile a una colonia che a un singolo individuo!